04/03/2022
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04/03/2022
La dottoressa Montessori non definisce il suo pensiero educativo e formativo un metodo, ma educazione alla vita. Montessori si concentra sull’ambiente adatto, a misura di bambino, sulla libera scelta e l’interesse, sull’adulto come guida e sulla normalizzazione e fa di questi quattro punti la base, le fondamenta del suo metodo: l’adulto agisce sul bambino in modo indiretto, attraverso l’ambiente che deve essere predisposto apposta per lui, che impara dall’ambiente stesso con la guida dell’adulto che lo accompagna.
M. Montessori quando parla dell’intimo raccoglimento del bambino che lavora lo assimila ai mistici e agli uomini di scienza alle prese con una concentrazione talmente intensa che sembra isolarli dalle cose del mondo. L’innesco del lavoro, della disciplina, non sono atti obbligati ma scaturiti dall’attenzione che si focalizza e proprio per questo il primo compito dell’adulto è quello di “riconoscere il polarizzarsi dell’attenzione”, che è un fenomeno molto simile all’esperienza del flow. La Montessori non si curerà solo dei determinanti dell’attenzione che l’attirano (relativa dimensione, forma, colore, movimento, contrasto, intensità, durata, ripetizione) ma anche e soprattutto dei fattori che la trattengono perché sono quelli che provengono dal soggetto stesso e dalle sue motivazioni profonde. “La lezione è un appello all’attenzione. Se l’oggetto risponde agli intimi desideri del bambino e rappresenta qualcosa che li soddisferà, incita il bambino ad un prolungata attività, poiché egli se ne rende padrone e continua ad usarlo”.
Nel suo libro “Il bambino in famiglia” lei scrive “…. vi sono nell’individuo esigenze intime, per le quali mentre egli si abbandona ad un lavoro misterioso, si richiede la completa solitudine, la separazione da tutto e da tutti”. Questa è la forza della concentrazione che accomuna i bambini anche molto piccoli agli scienziati.
Per fare in modo che si realizzi tale attenzione prolungata ci vogliono degli oggetti ed un’attività da svolgere con essi e su di essi, “vediamo che esiste uno stretto legame tra il lavoro manuale che si compie nella vita comune e la profonda concentrazione dello spirito”. Questo “sprofondarsi dell’anima in se stessa” non è proprio delle persone eccezionali ma è proprio, all’inizio, di ogni bambino, ma che poi si conserva solo in poche persone sino all’età adulta. All’inizio della vita, la concentrazione non è straordinaria ma del tutto ordinaria.
Nel suo libro “L’Autoeducazione” M. Montessori dedicherà un intero capitolo all’attenzione. La Dottoressa osserva che il fatto fondamentale della sua scoperta è proprio l’attenzione e scrive, “l’organizzazione della vita psichica si inizia con un fenomeno caratteristico di attenzione…E ogni volta che avveniva una simile polarizzazione dell’attenzione, cominciava il bambino a trasformarsi completamente, a farsi più calmo, quasi più intelligente e più espansivo: egli mostrava qualità interiori straordinarie”.
E qui, Montessori mette in relazione la spontanea concentrazione infantile con la contemplazione, con i momenti più intensi e nobili della vita adulta che ricordavano i fenomeni di coscienza più alti, come quelli della conversione: “fin che una cosa speciale intensamente l’attrae, la fissa, e allora l’uomo ha la rivelazione di sè stesso, sente di cominciare a vivere”.
Una viva e costante concentrazione è il segreto di ogni apprendimento e di ogni insegnamento.
L’attenzione va ricercata e va aiutata.
Tutto l’ambiente, tutto il materiale e tutte le attività montessoriane a tutte le età, ma soprattutto nel primo piano di sviluppo (0-6), sono finalizzate ad aiutare la concentrazione verso punti di interesse e, una volta che si è innescata, deve essere protetta, ovvero lasciata libera di agire. “La libertà è la condizione sperimentale per studiare i fenomeni dell’attenzione del bambino”.
Quando il bambino si concentra la sua mente si sviluppa e la sua personalità si costruisce.
La concentrazione è legata sì alla motivazione, nel senso che il coinvolgimento genera la concentrazione, ma possiede anche una logica interna, una “formazione interiore”. Solo dopo che ci si è riusciti a concentrare ci si coinvolgerà emotivamente.
Il bambino si concentra facendo un’attività liberamente scelta e quando la mano e la mente lavorano assieme abbiamo il miracolo dell’apprendimento e dello sviluppo, la “magia” della mente assorbente.
Come ha detto Montessori, “l’azione assorbe l’intera attenzione ed energia del bambino…L’uso delle mani porta ad una profonda attenzione”. “La concentrazione fa parte della vita, non è la conseguenza di un metodo di educazione. Il metodo Montessori si basa sulle qualità di un contesto, la scuola e la famiglia, che rende sociale il tipo d’impegno e focalizza l’attenzione. Più di qualsiasi altro sistema educativo, l’intero metodo Montessori si basa totalmente su una profonda comprensione delle relazioni tra la mente e il cervello”.
Possiamo dire che quella della Montessori è, nel suo insieme, una pedagogia dell’attenzione. Attenzione al bambino, ai suoi bisogni, ma anche e soprattutto impegno e considerazione nostre nel preservare quell’ attenzione del bambino che gioca-lavora, che abbiamo visto essere fondamento della personalità umana. Attenzione, dunque, nel fare in modo che “l’ambiente maestro” e la “voce delle cose” ottengano, da soli, gli obiettivi desiderati, e uno su tutti è proprio il polarizzarsi dell’attenzione che porta poi alla normalizzazione, senza che interventi superflui e a volte dannosi da parte adulta inficino il risultato desiderato.
11/02/2022
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11/02/2022
Durante una mia formazione un concetto ripetuto più volte dal docente mi piacque molto: “prima le mani in testa e poi le mani in pasta”, queste parole rendono molto bene l’importanza della conoscenza teorica prima e poi della sua trasposizione nella concretezza della vita vera, per comprendere meglio quello che ci accade, come stiamo o come vorremmo stare. Per tutti!
Per tutti dicevo, certamente per chi come me lavora con l’umano di ognuno di noi è una condizione “sine qua non”, ma è bello sapere per chiunque. A volte sembra non interessi niente a nessuno, ma è dal sapere comune che scaturiscono grandi idee. Anche per questo motivo amo scrivere di teoria, così da costruire un ponte che trasporti alla potenzialità del vivere.
Torniamo “alle mani in testa” e approfondiamo il FLOW.
Per dirla con le parole dello stesso Csikszentmihalyi: “Parlare di Flow significa far riferimento a un’esperienza di totale concentrazione, dedizione e divertimento in una particolare attività: tutto sembra accadere sotto il nostro controllo, esattamente come lo desideriamo”.
Secondo Csikszentmihalyi la felicità non deriva dalla fortuna o dal caso e non è determinata da eventi esterni al di fuori del nostro controllo, ma è strettamente legata alla nostra volontà e a come ognuno di noi interpreta gli eventi che accadono e le esperienze che compie.
La felicità è quindi una condizione innaturale che ha bisogno di essere generata e mantenuta. Ciò si verifica attraverso un processo di selezione attiva delle informazioni; ogni soggetto seleziona ed organizza le informazioni acquisite nel contesto in cui opera secondo un criterio specifico: “la qualità dell’esperienza” associata a tali informazioni. Vengono infatti in preferenza replicate quelle esperienze in grado di produrre uno stato di coscienza pieno e positivo ed evitare quelle generanti noia e stati di stress negativo o ansia.
Vi sono situazioni in cui riusciamo a non farci condizionare, nel nostro agire, dai fattori esterni, ci sentiamo protagonisti assoluti delle nostre azioni e di solito questo provoca una sensazione piacevole di gioia fornendoci un punto di riferimento su come dovrebbe essere la nostra vita.
Il flow è quella situazione in cui tutto si svolge in armonia con le nostre decisioni: l’alpinista che fa l’ascensione perfetta, l’atleta che migliora il suo record, il musicista che compone, l’architetto che finisce il suo migliore progetto, ecc… queste “esperienze ottimali” sono tutte attività che hanno in comune alcune caratteristiche di fondo: non derivano da momenti di apatia, passività o rilassatezza, non è il piacere che deriva da un bagno caldo, dalla lettura di un buon libro o da un massaggio.
Il flow è uno stato che presuppone passione e creatività, il pieno coinvolgimento delle migliori abilità della persona, la sua attenzione totale, la chiarezza della meta da raggiungere, un ottimale senso di controllo, il corpo e la mente impegnati al limite. L’esperienza ottimale dipende da noi, si determina non solo perché siamo protagonisti di quello che stiamo facendo, ma perché siamo totalmente coinvolti nell’attività al punto che niente altro c’interessa più in quel momento.
La dottoressa Montessori già nel 1906, aveva osservato un fenomeno simile: “Il primo fenomeno che richiamò la mia attenzione fu quello di una bambina di forse tre anni, che si esercitava ad infilare e sfilare i cilindretti degli incastri solidi. Da quando avevo cominciato a contare, la bambina aveva ripetuto l’esercizio quarantadue volte. Si fermò come uscendo da un sogno e sorrise come una persona felice: i suoi occhi lucenti, brillavano, guardando tutto attorno”. Questo fenomeno è il polarizzarsi dell’attenzione, che vedremo in modo più approfondito nel prossimo articolo.
Lo stesso avvenimento ho osservato io, durante il mio lavoro, con alcuni bambini: Leonardo ha travasato sostanze per più di mezz’ora assorto nella sua attività e così Margherita che dopo aver fatto e rifatto più volte la torre rosa mi guarda estasiata e dice: “questo è un lavoro meraviglioso”. Sia Leonardo che Margherita non lavoravano solo con le mani, ma l’intero corpo, la mente, i sensi, l’intero “sistema di relazione” stavano lavorando. Erano nella loro “esperienza ottimale”.
Proprio a questo riguardo voglio citare le parole di K.R. Rathunde durante il convegno “La mente del bambino. Maria Montessori e le neuroscienze” tenutosi a Brescia nell’ottobre del 2014, che chiariscono molto bene il concetto di “esperienza ottimale” vissuta dai miei due bambini e da tutte le persone che vivono il flusso: “Completo coinvolgimento, senso di chiarezza e di sicurezza, anche se è un compito difficile, una sorta di sicurezza che puoi farcela. L’azione è la consapevolezza si fondono e giungi in quello stato di trascendenza in cui perdi la concezione del tempo, in cui ti perdi, l’ego scompare e sei motivato intrinsecamente che non è una motivazione interiore ma deriva dalla connessione tra la persona e quello che sta facendo per il semplice piacere e gusto di farlo: è proprio piacevole svolgere quell’attività”.
Come per i miei bambini Margherita e Leonardo!
Il flow è caratterizzato da alcune condizioni precise che descriverò in sintesi:
Cosa hanno, dunque, in comune la teoria del flusso, l’attenzione polarizzata della Montessori e la felicità?
L’ESPERIENZA…il fare…l’utilizzo delle mani, le mani in pasta, il DDF (che vi spiegherò, ma non ora, è una sorpresa).
Questo vale per tutti noi, adulti e bambini.
28/01/2022
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28/01/2022
Emozioni positive – relazioni positive – coinvolgimento – significato - realizzazione
sono questi, secondo Martin Seligman, i cinque aspetti che rendono la vita degna di essere vissuta, dei veri e propri parametri sui quali misurare il proprio benessere e quello della società.
Secondo Seligman la psicologia, che si è occupata quasi esclusivamente del malessere e delle patologie, deve dedicare pari attenzione agli aspetti positivi dell’esistenza umana: emozioni piacevoli, potenzialità, virtù e abilità dell’individuo. L’enfasi sul ruolo fondamentale delle risorse e potenzialità dell’individuo rappresenta un autentico capovolgimento di prospettiva: si privilegiano interventi finalizzati alla mobilizzazione delle abilità e risorse della persona, anziché alla riduzione o compensazione delle sue limitazioni. Inoltre, la prospettiva eudaimonica (eudamonia: è il termine con cui gli antiche Greci definivano la felicità, il sommo bene) porta l’attenzione sulla relazione tra benessere del singolo e sviluppo della collettività, tema quanto mai caldo in questo momento storico.
Le potenzialità hanno un ruolo molto importante nella nostra vita in quanto se vengono represse per tanto tempo possono causare disagio e disturbi mentali, se sono riconosciute e poco utilizzate possono determinare una vita non pienamente realizzata, e se al contrario sono individuate, allenate e utilizzate in tutti gli ambiti della vita, conducono ad un’esistenza felice. E’ proprio a causa della repressione delle potenzialità caratterizzanti, che matura la crisi di autogoverno di una persona che può portare alla mancanza di felicità.
La frustrazione per non sentirsi realizzate, la sofferenza che deriva dal volere di più dalla propria vita, ma non sapere esattamente cosa e come, il desiderio di un cambiamento avvertito come assolutamente necessario, ma non meglio identificato, sono tutte situazioni che possono generare una domanda di coaching e alle quali il coach deve rispondere con l’individuazione delle potenzialità caratterizzanti la persona che ha di fronte. Le potenzialità devono entrare, dopo essere state individuate, in un vero e proprio programma di allenamento che il coach concorda con la persona che ha deciso d’intraprendere una nuova strada.
Il motto del coaching è “attivare la mente attraverso l’attivazione dei muscoli” e questo non può non portarci immediatamente al pensiero di Maria Montessori e a tutto il suo discorso sul movimento. Scrive Montessori: “Abbiamo innanzi tutto un cervello; e poi i sensi, che raccolgono le impressioni per trasmetterle al cervello; e in terzo luogo i muscoli… Questo complesso organismo consiste perciò di tre parti: il cervello, i sensi, i muscoli. Il movimento è il punto di arrivo del sistema nervoso: senza movimento non si può parlare di individuo”. Per M. Montessori il movimento è legato all’intelligenza e la Dottoressa lo spiega a livello scientifico dicendo che i muscoli fanno parte del sistema nervoso essendone il punto di arrivo. L’allenamento, nel coaching, parte prima di tutto dalla cura di sé che alimenta il primo circolo virtuoso innescato dal coaching. E’ proprio il concetto di cura di sé che ha introdotto il tema della felicità e, sulla base delle ricerche di Maslow prima e di Seligman e Peterson poi, possiamo affermare che nell’essere umano esiste naturalmente la potenzialità del “prendersi cura di sé” che comporta una tensione innata all’autorealizzazione contraddistinta da due fattori: la tendenza allo sviluppo ossia alla propria crescita personale e la proattività cioè la capacità di agire e intervenire da protagonista sia sulle forze interne come le passioni o le emozioni sia sulle forze esterne come il contesto e le relazioni senza subirle passivamente. Questo significa che la possibile scelta individuale può incontrare nell’ambiente sia opportunità che ostacoli. E anche qui il pensiero di Maria Montessori mi suona dentro come Le Quattro Stagioni di Vivaldi: “La nostra è una Casa dei Bambini piuttosto che una vera e propria scuola; cioè un ambiente specialmente preparato per il bambino, dove esso assimila qualsiasi cultura diffusa dall’ambiente senza bisogno di insegnamento…”. M. Montessori dà un’importanza fondamentale e strategica all’ambiente per la formazione dell’uomo, è proprio l’ambiente che deve farsi maestro attraverso una giusta preparazione.
Un’altra teoria di fondamento per andare alla ricerca della felicità è la
Self-Determination Theory – SDT di Deci e Ryan,
è una teoria sulla motivazione che afferma infatti due dimensioni:
Essere autodeterminati significa agire con volontà e operatività in piena autonomia e pieno coinvolgimento mentre essere controllati significa agire sotto la pressione di una volontà esterna, ma anche di una volontà interna, come nel caso di obbedienza ad un proprio imperativo morale. Nuovamente M. Montessori ha anticipato di molto i tempi con le sue intuizioni anche in riferimento all’autonomia e alla volontà: “ciò che più ha suscitato discussione è quel capovolgimento tra adulto e bambino: il maestro senza cattedra, senza autorità e senza quasi insegnamento, e il bambino fatto centro dell’attività, che impara da solo, che è libero nella scelta delle sue occupazioni e dei suoi movimenti . Quando non è sembrato un’utopia, è apparso un’esagerazione”. Lo slogan montessoriano “aiutami a fare da solo” è un inno all’autonomia.
La SDT afferma, anche, e questo è un aspetto molto importante in merito alla felicità, che quest’ultima è intimamente collegata con tre bisogni o tendenze psicologiche che, se soddisfatte, portano al suo benessere, e se, al contrario sono contrastate, conducono al suo malessere. Queste tre aree di autorealizzazione non sono intercompensabili tra di loro e pertanto anche la totale soddisfazione di una delle tre aree non colma l’eventuale insoddisfazione derivante dalle altre.
I tre bisogni psicologici o le tre aree di autorealizzazione dell’individuo identificati da Deci e Ryan sono:
L’Area della Relazionalità che corrisponde al bisogno che hanno le persone di costruire e coltivare relazioni sociali. L’essere umano avverte il bisogno di sentirsi in rapporto con gli altri, di provare affettività positiva, di avere cura e di sentirsi curato dagli altri. Tale bisogno è indipendente dal contesto a cui appartiene l’individuo e quindi è intrinseco all’essere umano.
L’Area della Competenza: è dalla valorizzazione di questa area che nascono le capacità e le competenze dell’individuo. La “competence” si riferisce al volere essere efficaci, all’agire nel proprio ambiente e raggiungere i risultati voluti. Anche da questo bisogno si sviluppa l’evoluzione umana, attraverso le fasi di esplorazione e conoscenza, di elaborazione ed esecuzione del processo creativo, che apportano modifiche migliorative in termini di efficacia ed efficienza sia al prodotto, alla modalità, ai metodi, sia direttamente all’ambiente in cui si opera, che in tutti gli ambiti della vita umana.
L’Area dell’Autonomia: quest’area riguarda l’esercizio della volontà e dello spirito d’iniziativa e corrisponde in primo luogo alla tendenza dell’individuo ad essere e a sentirsi autonomo nelle sue scelte, che pertanto devono essere autodeterminate. L’autonomia della persona passa attraverso il suo senso d’integrità e la coscienza di sé stessi che sono intrinseci a tutte le azioni che nascono dall’autodeterminazione individuale. Autonomia non vuole dire isolamento, al contrario la Relazionalità e la Competenza nell’interazione con altri individui e contesti rispondono ad una scelta frutto di idee e decisioni autonome, sulla base di interessi e propensioni proprie.
I bisogni appena elencati sono tutti bisogni di autorealizzazione, non sono bisogni fisiologici, non serve soddisfarli per poter vivere, si vive ugualmente, anche se con tutta probabilità, si vivrà nella frustrazione e nelle sofferenza. Il senso di autorealizzazione dà vita alla felicità, al senso di pienezza e di appagamento della persona. Gli studi della psicologia positiva accendono i riflettori sul fatto che l’autorealizzazione e la felicità che ne scaturisce, non sono solamente stati emotivi semplici, ma sono soprattutto importanti risorse psicologiche che possono essere impiegate per raggiungere i propri obiettivi.
La felicità è una vera e propria risorsa psicologica che non solo migliora le relazioni affettive e le prestazioni nel proprio campo di azione, ma produce anche importati benefici sul piano fisico, stimolando in tal modo un circolo virtuoso che si autoalimenta.
10/01/2022
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10/01/2022
Il Coaching è una metodologia particolarmente apprezzata perché la si può personalizzare in funzione delle esigenze personali e fornisce risultati misurabili in tempi relativamente brevi. L’evoluzione individuale si realizza attraverso un processo di scoperta di sé stessi e azioni strategiche che consentono alla persona di aumentare il senso di autoefficacia e autorealizzazione. Un percorso di coaching richiede un’assunzione di responsabilità per impegnarsi concretamente e creativamente nel raggiungimento degli obiettivi di miglioramento.
ll coach umanista non giudica, non dà lezioni, né prescrizioni, ma accoglie ed ascolta in modo aperto e dedicato, con curiosità umana, accettazione e apertura mentale. Offre la sua tecnica e le sue competenze per esplorare la situazione, stimolando le persone, che nel mio specifico ambito di solito sono coppie genitoriali o mamme a vedere le problematicità che stanno affrontando anche da altre prospettive, e trasformare questa nuova visione del problema in una domanda tanto semplice quanto stimolante.
Il mio lavoro di coach umanista si concentra quindi sul presente e sui punti di forza, come matrici da cui far emergere il futuro e si ispira alla maieutica socratica che è l’arte di far venire alla luce: attraverso il dialogo emerge ciò che è già presente nella persona, anche se ancora non si vede nulla.
Il coach umanista poi diventa un esploratore immerso nella più grande e complessa ricerca ossia quella dello sviluppo culturale di relazioni umane felici!
Noi siamo, sia in positivo che in negativo, il frutto di un allenamento quotidiano e costante, fisico, psicologico, emotivo, spirituale, sociale. Quando riconosciamo questo fatto abbiamo a disposizione uno strumento potente: possiamo infatti governare noi stessi, scegliere chi vogliamo essere e allenarci a diventarlo, per vivere una vita non solo felice, ma piena di significato. Per questo l’allenamento è lo ‘strumento operativo’ per eccellenza del coaching, e il coach un vero e proprio allenatore di potenzialità e consapevolezza, che trasforma le nostre risorse in leve di cambiamento al servizio dei propri obiettivi.
Sentirsi capaci di plasmare la nostra esistenza ci dà un piacere profondo e una grande energia, mentre l’allenamento progressivo rafforza le nostre capacità, rispettando il tempo che ci serve per accogliere un modo nuovo di vedere, sentire, pensare, desiderare ed agire.
Gli ambiti di vita nei quali viene applicato il lavoro di coaching sono diversi, e molto variegati sia per quanto riguarda l’ambito di vita sia per quanto concerne la metodologia applicata.
Io mi occupo di familycoaching accogliendo l’intera famiglia che vuole migliorare le proprie relazioni interne attraverso una consapevolezza profonda e più adeguata dei vari momenti di crescita e di cambiamento che naturalmente convivono con l’evolversi famigliare con i figli; e affianco tutte quelle famiglie che scelgono il metodo Montessori non solo come metodo pedagogico educativo nella crescita dei propri figli, ma anche lo scelgono come ambiente di vita.
“Noi aiuteremo il bambino non perché lo consideriamo un essere piccolo o debole, ma perché egli è dotato di grandi energie creative, che sono di natura così fragile da richiedere, per non venir menomate e ferite, una difesa armoniosa e intelligente. A queste energie vogliamo portare aiuto, non al bambino piccolo, né alla sua debolezza”. Queste meravigliose parole della Dott.ssa Montessori non solo esprimono chiaramente dove è necessario guardare, ossia alle “grandi energie creative”, ma anche e soprattutto come, un come fatto di difesa armonica e intelligente.
02/12/2021
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02/12/2021
Questo primo articolo per il nuovo blog nasce dalla mia passione per la ricerca di “metodi” che permettono a tutte le persone che lo desiderano di “stare bene”, non inteso come lo diciamo a volte, per consuetudine, ma inteso come espressione autentica di noi stessi attraverso l’utilizzo delle nostre potenzialità.
Vi propongo un parallelismo tra alcuni aspetti del coaching umanistico, metodo innovativo per il raggiungimento dei propri obiettivi attraverso l’allenamento delle proprie potenzialità, e il metodo Montessori, “antico” metodo scientifico educativo e di formazione definito “educazione alla vita” più che mai attuale.
Uno di questi parallelismi è il Flow: è uno stato che presuppone passione e creatività, il pieno coinvolgimento delle migliori abilità della persona, l’attenzione totale, la chiarezza della meta da raggiungere, un ottimale senso di controllo, il corpo e la mente in questo “flusso” sono impegnati al limite. Sperimentare l’esperienza ottimale dipende da noi, si determina non solo perché siamo protagonisti di quello che stiamo facendo, ma perché siamo totalmente coinvolti nell'attività, al punto che nient’altro ci importa in quel momento. Il primo studioso a parlare di Flow, fu Mihaly Csikszentmihalyi psicologo di origine ungherese, da anni trapiantato negli Stati Uniti. Lui stesso scrive: “sono diventato psicologo per capire qual era il loro segreto (si riferisce alle persone che hanno vissuto il secondo conflitto mondiale e che hanno perso affetti e beni)….per capire come si può vivere la vita come un’opera d’arte e non come una serie di risposte caotiche ad eventi esterni”.
Anche la felicità sarà argomento frequente del mio blog e con l’aiuto degli approcci filosofici sull’auto - determinazione, e sull’autorealizzazione che trovano una straordinaria corrispondenza nella Self -Determination Theory elaborata da Deci e Ryan vi spiegherò come per essere felici dobbiamo soddisfare i bisogni di tre aree di sviluppo: l’autonomia in rapporto a sé stessi, la competence in relazione al lavoro, alla professione e la relazionalità in riferimento alle relazioni affettive.
Parlerò, poi, dell’affascinante momento della polarizzazione dell’attenzione nel metodo MONTESSORI, che potremmo paragonare “all’esperienza ottimale” che si verifica nello stato di Flow. Per l’ultimo articolo di questa serie, evidenzierò “le fil rouge” il filo di continuità che mi porta ad amare con passione il “vecchio metodo Montessori” attraverso il colpo di fulmine per il “nuovo coaching umanistico”, perché entrambi lavorano per la ricerca, scoperta o riscoperta di noi stessi, nella quale cerchiamo l’Aretè la vera natura di noi e quando l’abbiamo trovata è necessario tirarla fuori, farla “esplodere” fuori da noi stessi.
L’adulto quando vuole raggiungere determinati obiettivi deve mettere in atto strategie di cambiamento, il bambino, invece, deve poter vivere pienamente la sua natura di bambino: “si diventa adulti equilibrati solo se si è stati pienamente bambini”. (E. Balsamo)
In altre parole possiamo insegnare ai nostri figli ad essere felici.
Nei prossimi articoli approfondisco questi concetti partendo dalla mia visione del coaching umanistico.