Durante una mia formazione un concetto ripetuto più volte dal docente mi piacque molto: “prima le mani in testa e poi le mani in pasta”, queste parole rendono molto bene l’importanza della conoscenza teorica prima e poi della sua trasposizione nella concretezza della vita vera, per comprendere meglio quello che ci accade, come stiamo o come vorremmo stare. Per tutti!
Per tutti dicevo, certamente per chi come me lavora con l’umano di ognuno di noi è una condizione “sine qua non”, ma è bello sapere per chiunque. A volte sembra non interessi niente a nessuno, ma è dal sapere comune che scaturiscono grandi idee. Anche per questo motivo amo scrivere di teoria, così da costruire un ponte che trasporti alla potenzialità del vivere.
Torniamo “alle mani in testa” e approfondiamo il FLOW.
Per dirla con le parole dello stesso Csikszentmihalyi: “Parlare di Flow significa far riferimento a un’esperienza di totale concentrazione, dedizione e divertimento in una particolare attività: tutto sembra accadere sotto il nostro controllo, esattamente come lo desideriamo”.
Secondo Csikszentmihalyi la felicità non deriva dalla fortuna o dal caso e non è determinata da eventi esterni al di fuori del nostro controllo, ma è strettamente legata alla nostra volontà e a come ognuno di noi interpreta gli eventi che accadono e le esperienze che compie.
La felicità è quindi una condizione innaturale che ha bisogno di essere generata e mantenuta. Ciò si verifica attraverso un processo di selezione attiva delle informazioni; ogni soggetto seleziona ed organizza le informazioni acquisite nel contesto in cui opera secondo un criterio specifico: “la qualità dell’esperienza” associata a tali informazioni. Vengono infatti in preferenza replicate quelle esperienze in grado di produrre uno stato di coscienza pieno e positivo ed evitare quelle generanti noia e stati di stress negativo o ansia.
Vi sono situazioni in cui riusciamo a non farci condizionare, nel nostro agire, dai fattori esterni, ci sentiamo protagonisti assoluti delle nostre azioni e di solito questo provoca una sensazione piacevole di gioia fornendoci un punto di riferimento su come dovrebbe essere la nostra vita.
Il flow è quella situazione in cui tutto si svolge in armonia con le nostre decisioni: l’alpinista che fa l’ascensione perfetta, l’atleta che migliora il suo record, il musicista che compone, l’architetto che finisce il suo migliore progetto, ecc… queste “esperienze ottimali” sono tutte attività che hanno in comune alcune caratteristiche di fondo: non derivano da momenti di apatia, passività o rilassatezza, non è il piacere che deriva da un bagno caldo, dalla lettura di un buon libro o da un massaggio.
Il flow è uno stato che presuppone passione e creatività, il pieno coinvolgimento delle migliori abilità della persona, la sua attenzione totale, la chiarezza della meta da raggiungere, un ottimale senso di controllo, il corpo e la mente impegnati al limite. L’esperienza ottimale dipende da noi, si determina non solo perché siamo protagonisti di quello che stiamo facendo, ma perché siamo totalmente coinvolti nell’attività al punto che niente altro c’interessa più in quel momento.
La dottoressa Montessori già nel 1906, aveva osservato un fenomeno simile: “Il primo fenomeno che richiamò la mia attenzione fu quello di una bambina di forse tre anni, che si esercitava ad infilare e sfilare i cilindretti degli incastri solidi. Da quando avevo cominciato a contare, la bambina aveva ripetuto l’esercizio quarantadue volte. Si fermò come uscendo da un sogno e sorrise come una persona felice: i suoi occhi lucenti, brillavano, guardando tutto attorno”. Questo fenomeno è il polarizzarsi dell’attenzione, che vedremo in modo più approfondito nel prossimo articolo.
Lo stesso avvenimento ho osservato io, durante il mio lavoro, con alcuni bambini: Leonardo ha travasato sostanze per più di mezz’ora assorto nella sua attività e così Margherita che dopo aver fatto e rifatto più volte la torre rosa mi guarda estasiata e dice: “questo è un lavoro meraviglioso”. Sia Leonardo che Margherita non lavoravano solo con le mani, ma l’intero corpo, la mente, i sensi, l’intero “sistema di relazione” stavano lavorando. Erano nella loro “esperienza ottimale”.
Proprio a questo riguardo voglio citare le parole di K.R. Rathunde durante il convegno “La mente del bambino. Maria Montessori e le neuroscienze” tenutosi a Brescia nell’ottobre del 2014, che chiariscono molto bene il concetto di “esperienza ottimale” vissuta dai miei due bambini e da tutte le persone che vivono il flusso: “Completo coinvolgimento, senso di chiarezza e di sicurezza, anche se è un compito difficile, una sorta di sicurezza che puoi farcela. L’azione è la consapevolezza si fondono e giungi in quello stato di trascendenza in cui perdi la concezione del tempo, in cui ti perdi, l’ego scompare e sei motivato intrinsecamente che non è una motivazione interiore ma deriva dalla connessione tra la persona e quello che sta facendo per il semplice piacere e gusto di farlo: è proprio piacevole svolgere quell’attività”.
Come per i miei bambini Margherita e Leonardo!
Il flow è caratterizzato da alcune condizioni precise che descriverò in sintesi:
Cosa hanno, dunque, in comune la teoria del flusso, l’attenzione polarizzata della Montessori e la felicità?
L’ESPERIENZA…il fare…l’utilizzo delle mani, le mani in pasta, il DDF (che vi spiegherò, ma non ora, è una sorpresa).
Questo vale per tutti noi, adulti e bambini.