“Se nella verde etade alcun trascura di lodato sapere ornar la mente, quando è giunta per lui l’età matura d’aver perduto un si gran ben si pente. Cercando allor, ma trovasi a man vuote: potea, non volle, or che vorria non puote”.
(da “I due susini di Luigi Facchi detto Clasio)
Ricordavo bene il testo, ma per riportare alla mente l’autore e il titolo ho dovuto affidarmi a Google! Mi regalò questa frase il mio zio preferito mentre soffrivo di pene d’amore da ragazza. Il testo, che ben conservavo nella memoria, in poche parole trasmette l’importanza del rispetto dei tempi naturali per l’evoluzione umana e mi porta, oggi, ad un pensiero molto significativo della Montessori: “Per costruire il futuro è necessario vigilare sul presente. Quanto più verranno curati i bisogni di un periodo, tanto maggior successo avrà il periodo successivo”[1].
Viviamo una vita frenetica, fatta di mille e uno impegni, per noi, per i nostri figli, per tutti insomma. Spesso diciamo: “non ho tempo, mi spiace” ad un invito per un caffè, o di fronte a qualcuno che semplicemente avrebbe desiderio di scambiare quattro chiacchere con noi. Per prima io mi ritrovo, auto osservandomi, a mettere in ansia i miei famigliari, facendo loro fretta per i motivi più svariati o essendo preda dell’impazienza per un ritardo di qualche minuto oppure anche solo per un: “aspetta!!”.
Messa così, proprio non capivo perché le attività proposte ai bambini dovevano essere in un unico esemplare e capito ancora meno il significato dell’attesa. Non che a livello di pensiero razionale non lo ritenessi importante , ma si sa, tra il dire e il fare c’è di mezzo tanto, tanto fare: una cosa è credere di esercitare un certo comportamento, un’altra cosa è farlo; aspettare e rispettare i tempi degli altri, i tempi dei bambini, era un aspetto che avevo trascurato e che ho recuperato attraverso la lentezza: mi sono accorta in tempo che i sogni, a occhi aperti e chiusi, possono essere accolti e anche realizzati, quando non siamo più schiavi dei ritmi dettati dall’esterno, dalla fretta nevrotica del fare e dall’impazienza.
Tutto il lavoro della Dottoressa Montessori rispetta in modo rigoroso e scientifico il tempo della natura delle cose e i periodi sensitivi sono l’esempio principe su tutti: questi periodi, sensitivi non a caso, sono legati a precise fasi di sviluppo fisico e psichico, ed è in questi specifici momenti che gli avvenimenti accadano, che il piccolo d’uomo costruisce la propria personalità, non prima e non dopo. Questo aspetto focale ci porta ancor meglio a comprendere come l’ordine dello scorrere della vita infantile debba essere rispettato senza affrettare nessun tempo.
Oggi è come se vivessimo in un mondo con l’acceleratore sempre schiacciato al massimo e siamo in preda ad una frenesia dell’anticipo e senza quasi rendercene conto siamo nel circolo della società dell’usa e getta, siamo in un “tempo freccia”[2] che ha tolto il tempo dell’attesa con tutto il suo immaginario di aspettative.
Tutta l’impostazione del metodo scientifico Montessori ci porta esperienze di vita scolastica e formativa che vedono la pazienza e il tempo dell’attesa come base fondante per la costruzione dell’uomo. Nelle realtà montessoriane la lentezza è di rigore, le presentazioni dei lavori e dei materiali vanno fatte lentamente, in silenzio; i bambini non vivono l’ansia del risultato, o la competizione, ma l’esperienza: questo è uno dei motivi per cui non ci sono mai due attività uguali.
Che ne dite di darsi una regolata?
Provate ad andare piano, cercate di “perdere tempo” con la consapevolezza che lo state guadagnando in una migliore qualità della vita.
Vi lascio il titolo del bellissimo libro di Zavalloni: “La pedagogia della lumaca” per approfondire in maniera semplice, ma non scontata l’argomento della conquista dell’andare piano iscrivendosi al PIL che non ha niente a che fare con l’economia: Partito degli Incontri Lenti[3].
[1] M. Montessori, LA MENTE DEL BAMBINO, Garzanti, Milano 2016, pag. 193
[2] G. Zavalloni, LA PEDAGOGIA DELLA LUMACA, Ed. Missionaria Italiana, Città di Castello 2008, pag. 22
[3] Ibid., pag. 15